Per il suo mondo visivo e la sua atmosfera perfettamente riuscita, che crea forti legami tra un animale in via di estinzione visto come un "valore nazionale" e un uomo già "estinto".
Per un documentario avvincente che abbraccia il passato e il presente e che esplora l'identità culturale della regione in cui scorre la vera forza della natura, il fiume Piave.
Per la delicatezza e la forza con la quale lo sguardo del film riesce a far provare empatia verso una comunità che cerca di difendere la propria identità contro l’omologazione culturale lottando con l’arma della bellezza sia come espressione artistica siacome espressione di un paesaggio spirituale e naturale.
Una laconica e intensa “piccola storia” in cui risuona tragicamente l’asservimento estremo ad un mondo dominato dal delirio economico dove tutto diviene merce da produrre consumare scartare. Indimenticabile nella sua anonima solitudine l’esile figura femminile protagonista del cortometraggio.
Per il coraggio con cui affronta un tema spesso colpevolmente rimosso dall’immaginario italiano: le atrocità del colonialismo son qui raccontate con sorprendente maturità di linguaggio attraverso un uso non scontato del materiale di repertorio e della sua elaborazione sonora.
Per aver saputo descrivere il tema della separazione provocata dall'emigrazione attraverso una narrazione delicata, dove il senso della perdita non conduce al disincanto, ma al contrario ad uno sguardo che contiene la sia la salvezza che la speranza. Un film che con poesia rappresenta nella sua storia minima la perenne storia universale della ricerca di un destino migliore.
Perché respira cinema fin dalla prima inquadratura, il fascino del super16 si adegua perfettamente al volto particolare della giovane protagonista.
Sebbene il film sia ambientato tra adolescenti, le domande che pone sull'accettazione e sull'appartenenza sono importanti per qualsiasi età, poiché l'identità e i suoi cambiamenti, così come l'influenza degli altri su di essa, sono un processo che dura tutta la vita.
Il ritratto di un'adolescente che nella sua ingenuità si trova ad affrontare gli stigmi culturali e la mancanza di libertà. Sandstorm è un film potente, elegante e ben recitato che riesce a descrivere come tale mancanza viva spesso grazie al sottile equilibrio tra coercizione e vero e proprio ricatto.
Purché ha il pregio di far conoscere Raffaele Viviani, uno dei maggiori drammaturghi italiani del ‘900: un artista che “dal popolo apprese e al popolo donò l’arte sua”.
Il documentario ricostruisce il suo teatro, da sempre ambientato nei vicoli di Napoli con personaggi della strada, per farne una metafora universale.