IFF 2018: Epomeo Award a Carlo Verdone
A Quarant’anni dall’esordio televisivo in Non-Stop, l’uomo dalle 170 personalità ha ancora tante storie da raccontare.
[Ischia, 18 giugno 2018] L’errore più frequente che si può commettere parlando di Carlo Verdone è banalizzarlo. Concentrarsi sul giovane innovatore che vedemmo in tv o sul regista e protagonista di commedie entrate nel mito per i suoi personaggi, le battute che inevitabilmente, a cena, escono fuori in gare conviviali tra appassionati del suo cinema. Spesso ci si adagia pigramente sui suoi successi più clamorosi, su quegli anni ’80 che lo portarono ad altezze vertiginose, trascurando perle che hanno avuto la sola colpa di trovare, in seguito, un pubblico più distratto e probabilmente immemore. Finisci, beandoti di quel talento dietro la macchina da presa, anche nel dirigersi, per dimenticare che interprete di razza sia. In fondo, sul grande schermo cominciò con Bernardo Bertolucci, ne La Luna (verso la fine, alle Terme di Caracalla, ve lo ricordate?) e l’ultima volta che è stato diretto da un collega, Paolo Sorrentino, il film ha vinto un Oscar. E lui, con quello scrittore non protagonista della propria stessa vita, dà un’altra marcia al racconto del cineasta napoletano, consegnandogli malinconia, profondità e quel candore che i suoi personaggi, anche nei momenti più oscuri, non perdono mai. Che sia una purezza coatta, fragile, buona o fanfarona, perché tutti gli uomini che in-carna, alla ne, sono spaesati e disorientati in un mondo che si illudono di saper domare. Carlo Verdone è un raffinato intellettuale - si sente tanto, in lui, l’eredità sentimentale e culturale di papà Mario, critico e studioso di eccellente valore - che negli ultimi decenni si è fatto antropologo ed etologo. Non ha mai smesso di guardare e vivere, da pari a pari, le strade e, in particolare, la sua Roma. Nessuno meglio di lui sa che dentro la Capitale, location prevalente della sua narrazione cinematografica, c’è La grande bellezza, sì, ma anche quel Gallo Cedrone che allora sottovalutammo e ora scopriamo profetico, in quel finale ferocissimo e geniale. Difficile fare una gerarchia dei capolavori di questo regista: verrebbe, forse, naturale citare Compagni di scuola, in cui lui sa dirigere un’orchestra, da generoso amante d’attori qual è, in uno spartito che valorizza la sua capacità di scrittura, la sua visione delle nostre ombre, persino quella satira di costume, sociale e politica che ha sempre saputo racchiudere in una sola battuta. Come fai a scegliere opere così diverse? Come fai a scegliere tra Mimmo, Leo, Ruggero, Furio, Raniero, Ivano, Oscar, Don Alfio, Armando Feroci (per non parlare delle icone consegnate ad altri, da Brega in poi)? Oppure tra i suoi duetti, da Maledetto il giorno che t’ho incontrato a Sono pazzo di Iris Blond, da Borotalco a Io e mia sorella fino a Benedetta Follia: chi, più di lui, ha saputo scoprire e scolpire ruoli femminili e talenti di attrici? Buy, Gerini, Giorgi, Muti, Pastorelli con lui e grazie a lui sono divenute regine di cuori a cui è stata offerta un’occasione unica, uscire dagli stereotipi della commedia moderna per entrare nel pantheon verdoniano. E vale per la mitica Magda, per Marisol e Fiorenza, intuizioni geniali, o per ritratti completamente differenti e altrettanto potenti consegnati alla Sora Lella come a Natasha Hovey. Quelli di Verdone non sono solo film, ma mondi che entrano dentro gli spettatori, li aiutano a mettere a fuoco quello che vivono e non di rado ciò che succederà. Lui li dipinge con la sua sensibilità, con quel pudore sfacciato di chi sa cosa e come lo racconterà e non ha bisogno di sbattertelo in faccia. Con un’eleganza registica, etica ed estetica, rara. L’eleganza di chi è profondamente sentimentale pur rimanendo lucido - a volte al limite della ferocia ma mai dello sberle -, di chi, come è accaduto in Benedetta Follia, decide di onorare la propria città riportandola a una bellezza dimenticata, un merito che è difficile non notare se organizzi il festival delle location. Roma l’ha sempre amata e raccontata, l’ha criticata quando viveva il suo momento migliore, la celebra ora, che è in ginocchio. La Roma di Verdone è la poesia della musica del maestro Morricone in Un sacco bello, della Trastevere di uomini alla finestra, turiste alla ricerca di un ostello e olio in strada. E uno sguardo perso, interrogativo che chiede a se stesso, a noi, alla vita “...in che senso?”. Carlo Verdone è unico e irripetibile, anche in quella scena di Morto Troisi Viva Troisi, in cui c’è tutto il suo stile, il suo sguardo, la sua gentilezza piena di umorismo. E viceversa. La senti quando con devozione partecipa al film di Sordi, In viaggio con papà (e la sua scrittura si mette al servizio del genio di Albertone). Carlo Verdone è questo: uno capace di one man show incredibili e indimenticabili che sa essere artisticamente generoso e altruista. Un po’ Billy Wilder, un po’ Woody Allen, un po’ Aldo Fabrizi.
Ma soprattutto Carlo Verdone.